“Alberi e boschi”: appunti per la festa del volontariato 2012 (di Mauro Ferrari*)

1. Possiamo rappresentare ciascuna organizzazione di volontariato come un albero, che affonda le proprie radici nella biografia di chi vi partecipa e nel contesto locale in cui si realizza l’esperienza. La parte che emerge, il fusto, i rami, la chioma, ne è l’elemento visibile. I semi, i frutti saranno allora i risultati, le esperienze, le azioni concrete. E’ legittimo, doveroso, che ciascun volontario si adoperi perché l’albero cresca forte e sano, assuma nuova linfa, e resista alle intemperie, ai parassiti, ai nemici naturali e umani. Che diventi capace di dare accoglienza a nuovi ospiti (volontari, utenti, amici) che tra le sue fronde, nel suo corpo possono trovare riparo, e dare nuovo senso all’avventura arborea.

Ciascun albero sarà impegnato a crescere, ma avrà quotidianamente a che fare con dilemmi importanti, tra la vita e la morte, fra nuovi ingressi e abbandoni, entusiasmi e momenti sterili; stagioni di piogge alternate a periodi di fatica, siccità.

2. Se allarghiamo questa metafora all’insieme delle associazioni possiamo compiere un secondo passaggio cruciale, e scoprire che non stiamo parlando di singoli alberi isolati ma di boschi, foreste. Di ecosistemi complessi. Che comprendono svariate tipologie di alberi, arbusti, cespugli. “Nostrani” e alloctoni, cioè originari, “nati qui”, o arrivati da altrove, magari per conquistare nuove fette di mercato.

Gratuiti o interessati a gestire servizi.

Inventati localmente o emanazione locale di associazioni nazionali.

Chiusi a collaborazioni esterne o votati al lavoro di rete.

Il bosco insomma è un ecosistema complesso, dentro cui le relazioni fra gli abitanti non sono sempre semplici, lineari. Nel quale la collaborazione per il raggiungimento di obiettivi comuni non è data per scontata.

3. A loro volta le associazioni sono inserite in contesti locali che talvolta paiono simili a deserti (“nessuno ci dà una mano”) o utilitaristici (“ci chiamano solo quando c’è bisogno”).

E allora il bosco sembra somigliare ad un’oasi, ad un insieme di comunità che, ciascuna per proprio conto, ma tutte nello stesso orizzonte, contribuiscono a creare legami, a generare senso, identità, appartenenza. A ridurre il frastuono che proviene da fuori dal bosco: un mondo turbolento, che tende a separare gli individui, scatenati a competere fra di loro.

Quando invece il sogno, il senso dei diversi sensi in gioco, è quello di contagiare ciò che non è nel bosco, potremmo dire di “uscire dal bosco” e raccontare quanto sia bello, faticoso e arricchente, esserci; cioè partecipare alla costruzione del bosco.

4. Ecco qual è il senso del lavoro che CISVOL e Forum del Terzo Settore stanno mettendo in campo. I diversi percorsi di riflessione, valorizzazione, formazione … e la festa del volontariato. Da un lato sostenere, rappresentare, rendere maggiormente consapevoli gli abitanti del “bosco del volontariato” di quel che accade, delle dinamiche che intercorrono fra i partecipanti, e fra questi ed il mondo esterno (gli altri cittadini, le istituzioni); e dall’altro far conoscere, valorizzare, mostrare, rendere visibili i frutti, i semi, i prodotti del bosco.

5. Proviamo a combinare la metafora con alcuni materiali ed elementi del contesto. Partiamo dalle radici, dalla base terrena in cui affonda la solidità del volontariato. Potremmo parlare di valori, di un sistema simbolico condiviso fra i membri di ogni gruppo. Ma potremmo anche riflettere, come si fa nella pagina web della festa, sul sito del CISVOL, di quali valori accomunano, tengono insieme, le diverse esperienze di volontariato. Così scopriremo che negli strati profondi del terreno c’è una base comune a tutti, condivisa, in cui trovano nutrimento tutti gli alberi che compongono il bosco.

6. Poco più sopra scopriremo che in forme diverse ogni associazione, gruppo, organizzazione del terzo settore partecipa alla costruzione del welfare grazie alle proprie attività, alle pratiche quotidiane. Che sia nel campo specifico del sociale o sociosanitario, o in quello educativo, culturale, ambientale, ciascun partecipante contribuisce a creare humus, terreno fertile per la crescita delle persone, per l’uscita dall’isolamento, dalle troppe fragilità. Questo, ad esempio, è il senso del lavoro congiunto che, attraverso la petizione per il ripristino del fondo sanitario regionale ha impegnato moltissime realtà del terzo settore; e delle alleanze costruite con il sindacato e gli enti locali. Un po’ come affermare che noi soggetti del terzo settore siamo disposti a fare la nostra parte, ma che non ci rassegniamo a veder crescere intorno a noi il deserto, a subire disboscamenti di servizi.

7. Più sopra, e siamo nella parte visibile, si trovano le pratiche, le azioni. Che sempre più spesso assumono la forma della rete, del lavoro per progetti, di ecosistemi più piccoli entro il contesto del bosco. E intorno ai quali possono crescere collaborazioni con le istituzioni, con esperienze e prospettive diverse ma armonizzabili. Aggiungendo stimoli, sollecitazioni. Come quelle che arrivano dalle istituzioni locali e dall’Unione Europea, che ha promosso questo come l’anno dell’invecchiamento attivo e della solidarietà fra generazioni – e quali metafore sono migliori di quelle di un vecchio albero che seguita a produrre ombra, ossigeno, ad ospitare abitanti; e di giovani virgulti che iniziano a farsi strada, a cercare luce nei dintorni. Il bosco diventa il luogo delle pratiche.

Ecco perché il bosco può diventare anche un modo per rappresentare scenograficamente la presenza in piazza, le diversità che abitano il mondo del terzo settore.

 Piadena, 7.7.2012

* Mauro Ferrari è docente a contratto Università Cà Foscari di Venezia Dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata, Universita’ di Padova. E’ formatore per il Cisvol di Cremona.

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